Come sta cambiando la pubblicità outdoor?

Il Digital Out Of Home (DOOH) è la nuova forma di advertising che sta rivoluzionando l’ambito della pubblicità, offrendo soluzioni accattivanti, innovative e personalizzate e garantendo un maggior engagement del potenziale cliente con il brand, fin dal momento in cui vi entra in contatto.  

Con l’espressione “Digital Out Of Home” (DOOH) si fa riferimento all’evoluzione della cartellonistica tradizionale: una forma di advertising che si basa sull’integrazione della pubblicità offline con elementi digitali. Grazie a questa innovazione, gli annunci pubblicitari hanno il doppio delle probabilità di essere visti con un impatto su chi li vede 2,5 volte superiore rispetto alle affissioni statiche tradizionali.

Secondo il report di PwC, Executive Summary Entertainment & Media Outlook in Italy 2017-20211, che descrive l’andamento dei 17 segmenti del mercato dei media e dell’intrattenimento, il settore digitale dell’Out Of Home oggi rappresenta oltre un quarto del mercato italiano e una quota di investimento sempre più crescente della spesa pubblicitaria di aziende e attori istituzionali.

Appartenente alla categoria dell’affissione speciale, il Digital Out Of Home è una comunicazione innovativa che può assumere diverse forme: da semplici spot trasmessi su display posizionati in luoghi strategici, come stazioni e centri commerciali, alle pubblicità interattive. I vantaggi dell’affissione digitale sono diversi dal momento che questi “ledwall” sono difficili da eludere, grazie alle loro dimensioni e al contrasto con l’ambiente reale. Un esempio è lo spot “Il mare oltre” diffuso da MSC Crociere per la nuova campagna di branding, con affissioni digitali nelle città di Milano e Roma e nei principali aeroporti, stazioni ferroviarie e centri commerciali.

Questi spazi pubblicitari digitali sono ideali per promuovere la creatività dei contenuti. I display consentono infatti di presentare contenuti dinamici e coinvolgenti con colori più brillanti. In questo modo, sono in grado di catturare maggiormente l’attenzione del pubblico, soprattutto le giovani generazioni, che risultano meno attratte dalla cartellonistica tradizionale.

Un altro vantaggio di questa forma di advertising è una maggiore e accurata integrazione degli annunci pubblicitari con gli smartphone degli utenti. È infatti possibile inserire e visualizzare contenuti generati dalle persone, che diventano così parte integrante delle campagne pubblicitarie di affissione. La visione di questi contenuti incoraggia un maggiore coinvolgimento, poiché i consumatori si sentono gratificati dall’interazione e sono più propensi a fidarsi dell’autenticità del messaggio pubblicitario.

La personalizzazione del contenuto pubblicitario è un altro fattore chiave di questo tipo di advertising, in quanto plasma l’esperienza iniziale dei consumatori con il brand. Con l’affissione digitale è ora possibile offrire una pubblicità mirata per specifici target grazie anche all’utilizzo dell’intelligenza artificiale.

Un ulteriore elemento è rappresentato dalla geolocalizzazione, che incide nell’efficacia della pubblicità. Il caso più esemplificativo riguarda la campagna lanciata nel 2013 da British Airways, chiamata “Look Up”. L’affissione digitale esposta al Piccadilly Circus di Londra mostrava un ragazzo puntare il dito verso il cielo, indicando un piano reale al di sopra del cartellone. In questo modo, il bambino segnalava gli aeroplani che sorvolavano la zona e il DOOH si aggiornava in tempo reale, visualizzando il numero e l’origine del volo.

“Look Up”: l’outdoor advertising di British Airways

https://www.pwc.com/it/it/publications/entertainment-media-outlook/2017/doc/pwc_emoi_es_it.pdf

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Rivoluzione digital in Vaticano

Il mondo dei Social ha travolto anche la comunicazione della Chiesa. Dai “cinguettii” in latino di Papa Francesco al cardinale Becciu che polemizza via Twitter fino al rosario digitale

Anche il Vaticano parla digital. La rivoluzione social ha travolto la Santa Sede già da un po’, considerato che lo stesso Papa Bergoglio twitta in latino. Francesco, il Pontefice del cambiamento, è riuscito a risuscitare persino le lingue morte e a creare un account Twitter  in cui però cinguetta in latino. Un profilo seguitissimo: @pontifex_ln ha oltre 899mila followers, che aumentano a vista d’occhio. Lì ha pubblicato oltre tremila mila messaggi letti soprattutto dai giovani che si divertono a cinguettare ripetendo espressioni di cui non conoscono il significato ma che, a vedere i loro commenti, un po’ li incuriosiscono. Bergoglio, secondo le analisi di linguisti ed esperti della comunicazione, ha compiuto due miracoli: riavvicinare i giovani alla lingua degli antichi romani ma anche infrangere i canoni del tradizionalismo del Vaticano.

Ecco allora che ormai non fa più notizia che anche i suoi più stretti collaboratori comunicano via social e finiscano persino per polemizzare con siti come Dagospia. Infatti, è passata sotto la lente di Aldo Grasso “il diverbio social” tra il cardinale Angelo Becciu e Dagospia. Il pomo della discordia riguardava la delicata vicenda di cinque dipendenti della Santa Sede, tra cui un monsignore e un alto dirigente laico, sospesi dal servizio «in via cautelativa e fino a nuova disposizione». Le indagini della magistratura vaticana si erano focalizzate sulle compravendite immobiliari relative a palazzi di pregio londinesi dal valore milionario. Nelle scorse settimane erano circolate voci anche di provvedimenti presi nei confronti dello stesso Becciu, che invece è poi volato in Brasile dopo avere incontrato Papa Francesco. Dagospia aveva pubblicato l’indiscrezione e subito Becciu aveva replicato su Twitter smentendo il «sito scandalistico». Il cardinale Becciu, in puro stile social, aveva pubblicato uno screenshot che fotografava la pagina «incriminata», ha scritto: «Che ridere. Proprio ieri il Papa in Udienza mi ha augurato buon viaggio per il volo che domani mi porterà in Brasile». Così Aldo Grasso, dalle colonne del “Corriere della Sera” ha commentato la novità o meglio il nuovo modo di comunicare del Vaticano: «Una consacrazione con tutti i crismi per Dagospia, ma che dire di un principe della Chiesa che twitta come fosse un seminarista in vena di arguzie?».

Ma, al di là della polemica tra il cardinale Becciu e Dagospia e al di là anche dell’analisi di Aldo Grasso, non è sicuramente una novità che pure la Chiesa abbia rivoluzionato la comunicazione classica e si sia fatta travolgere dai Social. Anzi, la rivoluzione social ha coinvolto ogni aspetto della vita religiosa. Si potrebbe spiegare così la nascita di VatiVision, la piattaforma che, sul modello Netflix, si propone di veicolare in streaming on demand, serie tv, film e documentari. E ha una sua specificità: i contenuti del servizio, al via nel primo trimestre del prossimo anno, sono a carattere religioso, artistico e culturale, pensati per un pubblico mondiale che si riconosce o ha interesse per i valori cristiani. Ma non finisce qui. Infatti, Papa Francesco ha appena lanciato una novità assoluta: il rosario digitale. Ecco Click to Pray eRosary, un elegante bracciale composto da dieci grani realizzati con ematite e agata nera, con una croce smart che memorizza i dati tecnologici dell’app connessa. Si tratta di un’applicazione facile da usare: si attiva con il segno della croce, permette di accedere ad audioguida, immagini esclusive e contenuti personalizzati in base al rosario scelto, da quello tradizionale, a quello contemplativo o tematico e a quel punto si può iniziare a recitare in qualsiasi momento o parte del mondo ci si trovi. L’app aggiornerà e memorizzerà tutti i dati. La Chiesa del Terzo Millennio ormai è Chiesa 2.0 a tutti gli effetti.

Due rivali storiche insieme per un obiettivo comune: Milan e Inter presentano il nuovo stadio rivolgendosi ai tifosi

Due rivali storicamente contrapposte, sia sul terreno di gioco che a livello di branding, uniscono le proprie forze per la realizzazione del nuovo stadio di Milano. “Rivali in campo, ma insieme per il calcio e per Milano” è il claim che accompagna l’iniziativa lanciata sul sito appositamente creato per l’occasione.

Dopo la presentazione dei due progetti proposti da Populous e Manica/Sportium – rispettivamente “La Cattedrale” e “Gli Anelli di Milano” – i due leggendari club non hanno perso tempo e hanno messo nero su bianco rendering, dettagli, immagini e video delle due contendenti allo scettro dello stadio più moderno e innovativo d’Europa, per dare alla città un nuovo Palazzo dello Sport. Lo hanno fatto in grande stile, attraverso un sito web interamente dedicato alla presentazione dei due impianti: “Il racconto di due club, eterni rivali sul campo, che hanno unito le forze per conservare una delle tradizioni più amate di Milano”, recita il progetto della cordata Manica/Sportium. “Lo stadio di Milano, per Milano. Una nuova icona della città, situata nel distretto dello sport e dell’entertainment più sostenibile d’Europa”, risponde Populous.

Un sito web pensato non soltanto per presentare le caratteristiche strutturali di due progetti tanto diversi quanto affascinanti, ma per raccontare ai milanesi l’importanza di lasciarsi alle spalle il passato per guardare con fiducia al futuro di San Siro: un’area rinnovata, al passo coi tempi e, soprattutto, in linea con la crescita del capoluogo meneghino. Più che un derby di concept giocato dallo studio di architettura Populous e dalla cordata italo-americana Manica/Sportium, il sito assomiglia alla telecronaca entusiastica di una partita giocata da tutti i milanesi per festeggiare insieme la realizzazione di una grande area polifunzionale, sostenibile e innovativa. Oltre ai racconti fotografici e video spettacolari – narrazioni che superano la storica rivalità tra Baùscia e Casciavìt per un bene comune – c’è spazio per un questionario che chiama direttamente in causa il tifoso, per chiedere un confronto tra l’esperienza vissuta oggi alla Scala del Calcio e quella che vorranno vivere domani.

La piattaforma sembra individuare chiaramente un avversario di gioco: l’Amministrazione comunale. Malgrado le dichiarazioni congiunte di Milan e Inter, la Proposta di Fattibilità presentata, la gara aperta per un nuovo stadio e la presentazione dei finalisti al Politecnico di Milano, l’ultima parola spetta all’Amministrazione ed è proprio a questa che il sito implicitamente si rivolge. Lo fa rivolgendosi direttamente alla cittadinanza e presentando ai milanesi i vantaggi e l’importanza strategica di far crescere il quartiere attraverso un nuovo impianto sportivo, “contribuendo al posizionamento sempre più globale di Milano”.

Milan e Inter, Casciavìt e Baùscia, uniti per mettere pressione al Comune e ottenere il via libera alla realizzazione della loro nuova, magnifica, casa. Una strategia di marketing in perfetto stile che punta a far breccia sull’opinione pubblica e ad aggirare il “nemico pubblico”, puntando su chiarezza, trasparenza e interazione diretta con la città.

Dalle fake news alle fake history: ecco come si nasconde la verità

Siamo bombardati da informazioni e soprattutto da fake news, quelle che comunemente chiamiamo “notizie false”. Ormai questo non fa “più notizia”, come si dice in gergo giornalistico. Ma per chi lavora nel mondo della comunicazione o per chi ci sguazza per interesse o curiosità, le fake news sono un problema perché vanno concretamente a inficiare il lavoro dei giornalisti e dei comunicatori, più in generale. Gli autori del famoso dizionario di lingua inglese Collins Dictionary hanno definito fake news parola dell’anno nel 2017. Una decisione che non stupì neppure gli addetti ai lavori dal momento che ormai questa espressione era entrata prepotentemente nelle teorie dei social media e della comunicazione politica.

Nel dizionario Collins, le fake news sono «informazioni false, spesso dal tono sensazionale diffuse come notizie». Ma, in realtà, le notizie false sono anche un’eredità del passato. In che senso? Lo spiega abbastanza bene Paolo Mieli, storico e giornalista, che nel suo ultimo libro “Le verità nascoste”, edito da Rizzoli e approdato da pochissimo in libreria, monta e smonta trenta casi di manipolazioni di notizie che rappresentano anche dei momenti fondamentali della storia nazionale e internazionale. Infatti, quello che Mieli cerca di dimostrare è proprio come, accanto all’ormai noto e pericoloso mondo delle fake news, ne esiste da tempi antichi, uno ancora più pericoloso che è quello delle fake history. Un mondo che, forse, conviene conoscere per avere un’arma in più con cui riconoscere le notizie false che, oggi, si insinuano terribilmente nella rete e che soprattutto i Millennials – non sempre riescono – a distinguere.

L’eroico ingresso a Fiume di D’Annunzio è stato da sempre utilizzato come elemento fondante dei Fasci di combattimento, ma in realtà molti dei legionari che parteciparono non aderirono mai al Fascismo. Ecco, questo è uno dei trenta casi che Mieli smonta invitando il lettore a diffidare da fonti inattendibili e da versioni dei fatti alterate. Un po’ come dovremmo fare oggi anche quando le fake news vengono diffuse attraverso i social media e diventano “news” alla velocità della luce, senza ovviamente alcuna verifica. Dalla finta rivoluzione di Tarquinio il Superbo al corpo clandestino di Goffredo Mameli, passando per la Spagnola – l’epidemia che cambiò il Novecento e che quasi nulla aveva a che fare con la Spagna – non c’è dubbio che «le verità capovolte sono quelle che diventano Verità come effetto di un capovolgimento di una storia come era raccontata precedentemente».

Tra le «verità indicibili» Mieli non può non citare le origini rivoluzionarie della mafia siciliana, proprio perché in molti abbiamo «un’idea approssimativa della mafia e delle sue origini». C’è un fil rouge che unisce i trenta casi con i quali l’ex direttore del Corriere della Sera dimostra, in modo emblematico, come le Verità nascoste sono quelle Verità «indicibili, capovolte e negate». Mieli le analizza con il rigore dello storico e l’occhio sempre vigile del giornalista. Quel rigore e quell’acume che dovrebbero guidarci nel pazzo mondo delle fake news.

La pubblicità è una cosa seria (più o meno)

Scrivi comunicazione e leggi persuasione. Vero, fin tanto che il destinatario è incline ad assorbire tutti i messaggi ricevuti senza valutarne criticamente i contenuti, come se questi fossero calati dall’alto. Ma se l’età del ricevente si iscrive in un lasso temporale che va dai 20 ai 35 anni circa allora la musica cambia. Questo, infatti, sarebbe un Millennials, parte di una generazione cresciuta sotto l’incessante bombardamento pubblicitario della tv generalista, abituata a non dare per scontato il mondo del lavoro e che ha vissuto, in prima persona, un’epoca di forti cambiamenti tecnologici, con la conseguente evoluzione degli strumenti e dei canali informativi. Sarebbe un soggetto tendenzialmente molto attento alle proprie scelte, scettico nei confronti del mercato e tutto ciò che questo ha da offrire e poco incline a riporre piena fiducia verso i messaggi pubblicitari. Un soggetto esigente, dunque, che non vuole essere persuaso né tantomeno stupito, ma che vuole prima di tutto essere ispirato.

Il fallimento di una relazione è quasi sempre un fallimento di comunicazione e con la caduta della “s” a certificare l’ingresso del termine Millennials nel gergo comune del nostro Paese, la necessità di individuare la chiave comunicativa più adatta per instaurare relazioni durature con la Generazione Y diventa ogni giorno più attuale. Senza scomodare troppo giganti intellettuali come Zygmunt Bauman, è chiaro come la capacità dell’emittente di individuare ingredienti comunicativi adatti a presentare gli aspetti più umani e reali di un brand costituisca un’arma vincente quando di parla di comunicazione e Millennials. Questi, infatti, oltre all’affidabilità, cercano in un brand anche onesta e autenticità, qualcuno che sia in grado di mettersi in discussione di fronte al consumatore per mostrare a un’audience estremamente difficile chi è veramente.

Per riuscirci il sarcasmo e l’autoironia sono un’ottima risposta. Fuori dalla monotonia e dall’autoreferenzialità che ha caratterizzato la comunicazione aziendale per interi decenni esiste, infatti, un mondo dove non prendersi troppo sul serio aiuta i consumatori più esigenti a prendere una decisione e i brand a posizionarsi in maniera solida nel proprio mercato di riferimento. Un modo di intendere la comunicazione pubblicitaria che arriva da oltreoceano dove, nella Madison Avenue di ormai mezzo secolo fa, William Bernbach e la sua DDB diedero vita a una serie di campagne pubblicitarie innovative per posizionare nel mercato americano un’automobile nata sotto l’egida del regime nazionalsocialista: il Maggiolino Volkswagen. In una società dove il sogno americano esigeva l’acquisto di automobili enormi, di grossa cilindrata, Bernbach decise di scherzare sulle dimensioni del Maggiolino per dare risalto alla principale caratteristica dell’auto tedesca: l’affidabilità. Think Small ebbe un successo enorme, contribuendo a rendere grande la casa automobilistica tedesca.

Oggi sono sempre più numerose le realtà orientate a questo tipo di registro comunicativo: dalla campagna di promozione territoriale Unrating Vienna, che fa leva sulle recensioni negative ricevute per esortare i visitatori a dare una propria valutazione della città alla campagna Assembly Fail di Ikea, che ironizza sui suoi mobili componibili per promuovere il servizio di assemblaggio, passando per gli endemici ritardi dei treni raccontati nello spot realizzato per il centenario di Ferrovie dello Stato. Si tratta di esempi che testimoniano come l’utilizzo dell’umorismo sarcastico per creare l’associazione simbolica di un brand con determinati valori consenta di aprire gli orizzonti a interpretazioni più veritiere dei brand e di renderli più vicini ai bisogni e alle esigenze dei consumatori.

Non un azzardo comunicativo, dunque, ma una strategia pensata per distinguere un brand all’interno dell’attuale overload informativo, mettendo al centro il senso della realtà e l’autenticità del messaggio, ovvero i principali punti di contatto con una generazione che non vuole essere persuasa ma ispirata.

Tre campagne sul turismo che fanno la differenza: Austria, Italia e Svizzera a confronto

La comunicazione online è un fattore sempre più importante nel determinare le scelte di acquisto degli utenti. Lo è ancora di più nel momento in cui ci troviamo a scegliere una determinata meta di viaggio.

In questo articolo, abbiamo provato a comprendere quali sono gli aspetti chiave che determinano il successo di una campagna turistica e che ci spingono a scegliere una particolare destinazione. Lo abbiamo fatto mettendo a confronto tre campagne di altrettanti tre paesi europei: Austria, Italia e Svizzera.

Il primo caso interessante è quello della città di Vienna, con la sua campagna Unrating Vienna. Lo spot ci appare geniale per tanti motivi. Il primo tra tutti è la scelta di affidare la comunicazione alle recensioni negative degli utenti online. I giudizi sprezzanti delle persone divengono così un efficace pretesto per avvalorare ancora di più la conclamata bellezza della città e delle sue opere. Così i giardini di Schönbrunnm, che si affacciano sulla famosa reggia imperiale, sono un autentico “disastro”; la Cattedrale di Santo Stefano, il monumentale edificio simbolo della città, con una delle guglie medievali più alte al mondo, risulta “piccola”; il museo Leopold, che contiene la più grande raccolta mondiale di opere di Schiele, ma che ospita anche quadri di Klimt, Kokoschka e Gerstl, offre solo “nudi spettrali”.

In questo caso, la comunicazione risulta vincente in quanto fa leva sul paradosso: le recensioni negative che accompagnano le immagini delle opere monumentali della città sono in netta contraddizione con la bellezza incontaminata che viene mostrata. Il contrasto è vincente e mette in ridicolo i giudizi espressi, l’unica vera nota stonata della narrazione. Il claim della campagna è altrettanto chiaro: “Chi decide cosa ti piace?” Sotto, alcuni dati mostrano come il 20% di tutte le recensioni online sia falso, ovvero una recensione su cinque.

La seconda campagna è quella lanciata dal Dipartimento Turismo, Cultura e Paesaggio della Regione Abruzzo, che fa leva sul claim “Vivi le emozioni da cima a fondo”. Lo slogan, che accompagna il video emozionale di 30 secondi, fissa in pochi istanti tutta la bellezza mostrata negli scatti precedenti: quella mozzafiato dei paesaggi sconfinati che si possono ammirare; quella eterna dei castelli medioevali che è possibile visitare; quella estrema delle attività sportive da svolgere all’aria aperta; e, infine, quella più familiare dell’enogastronomia locale che si può degustare.

La strategia è vincente perché si basa sul giusto mix tra comunicazione online e offline: spot su radio e tv, pannelli nelle Autostrade, megaschermi nelle metropolitane, impianti tabellari nelle stazioni ferroviarie, immagini sulle cappelliere di cinque aerei Ryanair. Quello che impressiona, però, è il restyling integrale del sito, disponibile in più lingue, che offre praticamente tutto, sfruttando differenti formati e linguaggi della comunicazione: dalle proposte di itinerari agli eventi principali della regione; dalle infografiche tematiche sul turismo esperienziale alle storie degli smart ambassador; dal contest fotografico #YourAbruzzo a tutte le curiosità regionali. Di fronte a tutto questo, l’hashtag #Abruzzosummer2019 passa quasi inosservato.

Il terzo e ultimo caso analizzato è quella della Svizzera, che sul proprio profilo Instagram “Switzlerland Tourism” mette gli utenti al centro della campagna. Il profilo, infatti, invita tutti gli appassionati delle terra elvetica a caricare immagini citando l’account @myswitzerland o utilizzando l’hashtag #inLOVEwithSWITZERLAND.

Quello che colpisce di più, però, è il particolare utilizzo delle Stories che, non solo raccontano in maniera appassionante le bellezze di ciascuna città, svelando dettagli impensabili, ma interrogano gli utenti attraverso veri e propri sondaggi. L’esempio più lampante è la storia “Winter Type”, un vero e proprio questionario alla fine del quale, sulle base delle diverse abitudini di vivere la montagna, l’utente scoprirà di essere un “Carver”, “Freerider”, “Snowlower” o “Après Skyer”.

Per saperne di più sulle campagne visita i siti:

https://unrating.wien.info/en-us

http://abruzzoturismo.it/it

https://www.instagram.com/myswitzerland/?hl=it

Gli italiani sui social media? Innamorati di Stories e immagini

Il terzo rapporto Italiani e social media 2019, realizzato da Blogmeter, azienda specializzata nella social intelligence, presenta un quadro interessante sull’utilizzo dei social media da parte degli italiani. La ricerca ha interessato un campione rappresentativo di 1.510 residenti in Italia, di età compresa tra 15 e 64 anni e iscritti ad almeno un canale social.

Il rapporto descrive anzitutto due tipologie di social media: quelli di cittadinanza e quelli funzionali. I primi, che contribuiscono a definire maggiormente la nostra identità di relazione, sono quelli che utilizziamo più volte al giorno o a settimana. Tra questi, ad esempio, si distinguono Facebook, Instragram, WhatsApp e YouTube. I secondi, invece, sono funzionali in quanto soddisfano un bisogno specifico e vengono utilizzati soltanto saltuariamente. I principali, in questo caso, sono Trip Advisor e Facebook Messenger.

Quali social utilizziamo?

Tra i social di cittadinanza, utilizzati più di una volta al giorno, spicca senza ombra di dubbio Facebook, preferito da ben l’82% degli italiani, in calo solo di due punti percentuali rispetto alla rilevazione del 2017. Si conferma positivo anche l’utilizzo di YouTube, che coinvolge il 61% della popolazione italiana, migliorando ancora la propria posizione nell’ultimo triennio (+5%).

Il dato che colpisce maggiormente, però, è relativo all’utilizzo di Instagram, che appassiona il 58% degli italiani: in tre anni, la piattaforma ha visto crescere i propri utilizzatori di ben 18 punti percentuali, per la gioia del gruppo capitanato da Mark Zuckerberg, già proprietario di Facebook. Questo dato mostra anche l’importanza sempre maggiore attribuita dagli italiani al “social media delle immagini” per eccellenza. Si ferma invece al 53% l’utilizzo di Twitter, a conferma di un calo progressivo del numero di utenti.

A rubare la scena tra i social di cittadinanza è poi WhatsApp, il servizio di messaggistica oramai assimilabile ad un vero e proprio social network per l’aggiornamento costante delle funzioni di condivisione delle informazioni tra gli utenti, utilizzato dal 94% della popolazione: un segnale di crescita costante dell’applicazione nel corso degli anni.

Tra i social funzionali, invece, emerge l’uso di Facebook Messenger, la piattaforma di messaggistica istantanea sviluppata come Facebook Chat, utilizzata dall’80% della popolazione.

Perché usiamo i social media?

A guidare l’utilizzo dei social media è soprattutto il bisogno di informarsi, con una fruizione finalizzata più alla lettura dei post creati da altri utenti (43%), che alla scrittura di contenuti originali e al commento (35%). A leggere i contenuti è prevalentemente la categoria dei “giovanissimi”, che comprende la fascia di età 15-24 anni. Un altro bisogno soddisfatto dalle piattaforme è lo svago o il piacere, una motivazione sempre più in crescita nel corso degli anni. Tra le ragioni legate all’utilizzo si rileva, infine, il desiderio di raccogliere stimoli e idee dalle notizie messe a disposizione dalle piattaforme.

Quali contenuti preferiamo?

Un’indicazione importante è quella che arriva dai messaggi social Adv, ovvero tutti quei contenuti sponsorizzati in cui si incorre quando navighiamo sui social media. Dalla ricerca emerge come stia aumentando la percezione di utilità di questi contenuti – soprattutto su Facebook e Instagram – ma solo quando gli stessi non siano di ostacolo alla fruizione del messaggio.

Merita, infine, una menzione a parte la novità intercettata dall’ultimo rapporto, che riguarda l’impatto delle Stories sul pubblico italiano: 1 utilizzatore su 3 di Facebook e Instagram preferisce le Stories ai post.

Fonti

Blogmeter, “Italiani e Social Media”, 2017

Blogmeter, “Italiani e Social Media”, 2018

Blogmeter, “Italiani e Social Media”, 2019

Le 4 fasi del Metodo GStrategy

Analisi, strategia, comunicazione e consulenza in progress: le 4 fasi della comunicazione che applichiamo per tutti i nostri clienti.

Nel nostro lavoro applichiamo un metodo dinamico, modulabile e declinabile, ma che nella sua impostazione macro viene utilizzato per qualsiasi tipologia di progetto o attività. Questo metodo rappresenta la nostra piccola bibbia operativa e si sviluppa in 4 fasi.

Analisi. Qualsiasi attività inizia con l’analisi. Di che cosa? Del cliente, della sua storia, del suo prodotto o servizio, del contesto in cui opera, dei competitor, del sistema mediatico e relazionale in cui è inserito. Raccogliamo dati macro e di settore. Se non ve ne sono, li andiamo a cercare con sondaggi, interviste e tutti gli strumenti che riteniamo più utili. Per noi non c’è visione senza conoscenza.

Strategia. I dati raccolti durante la fase di analisi vengono elaborati e plasmati in un percorso strategico definito e strutturato. Viene definito il percorso narrativo di base, i temi e le tematizzazioni, i toni e i codici comunicativi, la sceneggiatura complessiva del progetto. Ai nostri clienti non serve uno slogan, serve una storia efficace da raccontare.

Produzione comunicativa. La strategia prende vita e diventa comunicazione: i visual, i claim, i colori, le forme, i palinsesti social, i materiali di comunicazione off e online nascono in questa fase, ovvero sempre a valle del nostro processo produttivo. Siamo degli esteti ma non cerchiamo mai la creatività fine a se stessa. Per noi la comunicazione non si divide in bella o brutta, ma in funzionale o disfunzionale agli obiettivi dei nostri clienti.

Consulenza in progress. È la fase più delicata. È la nostra capacità di accompagnare ogni singolo cliente, guidarlo, supportarlo nel raggiungimento dei propri obiettivi. Anticipandone le richieste, garantendo la coerenza strategica di ogni azione, guidandolo non dove vuole andare, ma attraverso il percorso migliore possibile. Non siamo fornitori, ma partner autorevoli e affidabili.

I social media fanno bene alla Salute

Intervista al professor Eugenio Santoro, responsabile del laboratorio di Informatica medica dell’Istituto “Mario Negri” di Milano.

Facebook non nuoce gravemente alla salute. Nemmeno Twitter, Instagram e tutti gli altri social network. Anzi fanno bene. Il professor Eugenio Santoro lo sostiene da tempo e lo afferma sulla base di dati scientifici. Infatti, il responsabile del laboratorio di Informatica medica del dipartimento di Salute Pubblica dell’Irccs, l’Istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri” di Milano, da anni analizza il rapporto tra i social media, la comunicazione sanitaria e la promozione della salute. E ci spiega quali sviluppi sono in atto.

In che modo Facebook, Twitter, Google+, LinkedIn, YouTube e altri strumenti social stanno trasformando la comunicazione, la formazione e l’assistenza in Sanità?

«Partendo dalla formazione, quello che è cambiato è sicuramente l’aggiornamento con le fonti che il medico usa e che, da tempo ormai, erogano i contenuti attraverso i social media: questa modalità facilita il reperimento delle informazioni. Nel campo della comunicazione, invece, opinion leader, medici affermati, in parte anche le istituzioni, ma soprattutto le associazione sanitarie hanno iniziato a utilizzare i social media affinché il cittadino possa essere cosciente delle malattie a cui potrebbe andare incontro se dovesse mantenere o avere alcuni comportamenti. Si tratta di una prassi molto utilizzata all’estero e di recente pure in Italia».

Social media e comunicazione sanitaria. Che relazione ci può essere tra le nuove piattaforme di socializzazione e la promozione della salute?

«Esistono studi realizzati soprattutto all’estero (perché in Italia siamo ancora indietro in questo ambito) che dimostrano come l’uso dei social media ha consentito di ottenere risultati migliori rispetto all’utilizzo degli strumenti tradizionali. Però bisogna specificare che tali studi non si riferivano ai social media in generale, ma all’uso più specifico inteso, ad esempio, alla creazione di community come i gruppi di Facebook. Le ricerche hanno dimostrato che se aggrego più persone e fornisco loro una serie di informazioni, ad esempio consigli su come dimagrire o mantenersi in forma, ottengo risultati positivi determinati proprio dalla possibilità di partecipare e condividere il proprio stato di salute. È dimostrato scientificamente che le community, costruite sui social, portano con più facilità il cittadino a modificare il comportamento e il proprio stile di vita. Tali studi sono stati applicati per dimostrare, ad esempio, l’efficacia della diminuzione del peso e la lotta al fumo, ma anche per la gestione di problemi legati all’ansia e alla depressione. Oggi quando si parla di social media se ne parla in termini negativi. Ma, in realtà, sfruttando le stesse leve dell’emulazione si ottengono buoni risultati. È molto più facile demonizzare i social che valorizzarne le potenzialità.

In che modo le aziende sanitarie o gli enti privati che si occupano di Salute e prevenzione possono migliorare oggi la comunicazione sanitaria 2.0?

«Bisogna fare una distinzione tra comunicazione esterna, rivolta ai cittadini, e quella interna ovvero tra i componenti delle aziende. Uno degli aspetti più interessanti riguarda la comunicazione esterna: abbiamo realizzato uno studio nel quale abbiamo analizzato quante aziende usano i social media, in che modo lo usano e che risultato ottengono. Ad esempio:  quante persone vanno a leggere i post o a condividerli. I risultati sono stati questi. Le Asl sono presenti sui social media, almeno su una piattaforma come Instagram o LinkendIn. Tra i preferiti c’era Facebook – attorno al 60% a livello nazionale, poi Twitter e Instagram. Ma, in realtà, le Asl prevalentemente usano una comunicazione celebrativa e autoreferenziale, poco diretta al cittadino che invece deve sapere – ad esempio – a quali rischi va incontro se continua ad avere un certo stile di vita. Questo genere di informazione manca. Però, anche in ambito sanitario resiste lo stesso trend di altri settori, ovvero che è Instagram il social più commentato e citato, quello che funziona di più che non è però il più usato: lo utilizza solo il 10% delle Asl ma è quello che produce risultati migliore in termini di comunicazione. La fotografia è questa. Allora, quello che le Aziende sanitarie possono fare è quello di dotarsi di competenze specializzate e di ripensare a un Piano comunicazione che integri i social media. In sintesi: servono esperti di comunicazione sanitaria 2.0».

È necessario stabilire nuove regole per gestire forme di comunicazione con strumenti sempre più innovativi?

«Per quanto riguarda la comunicazione nei confronti dei cittadini non servono nuove regole ma nuove procedure e una nuova organizzazione perché in realtà manca il contesto in cui poter utilizzare questi strumenti. Non c’è un’idea di struttura che di regole. Infatti, per una comunicazione più partecipata serve anche un piano editoriale che sia ben fatto, il cui obiettivo è quello di creare quel rapporto di fiducia con i cittadini che al momento è piuttosto basso. Le istituzioni devono adottare un piano editoriale e mettere al centro la salute del cittadino, ad esempio mettendo in rete post che aiutano a capire che cosa fare se non mi voglio ammalare o quali sono i fattori di rischio se adotto tale comportamento. Bisogna smettere di usare questi strumenti nel modo sbagliato, come creare un post per divulgare l’orario di apertura dello sportello. I post, invece, dovrebbero parlare di prevenzione e salute. I Social consentono di fare questo e di farlo a costo zero. Allora, perché non usarli con tale finalità?».

Curiosità e innovazioni: la comunicazione diventa stellare.

Chi sicuramente non correrà il rischio di finire nella rete della costellazione di Musk è Starman che, ormai sparito dalla vista di gran parte dei telescopi terrestri, dovrà ora preoccuparsi di un’unica connessione: quella della frequenza radio della sua Tesla per sentire Bowie gridare ancora una volta il suo nome.

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