Rivoluzione digital in Vaticano

Il mondo dei Social ha travolto anche la comunicazione della Chiesa. Dai “cinguettii” in latino di Papa Francesco al cardinale Becciu che polemizza via Twitter fino al rosario digitale

Anche il Vaticano parla digital. La rivoluzione social ha travolto la Santa Sede già da un po’, considerato che lo stesso Papa Bergoglio twitta in latino. Francesco, il Pontefice del cambiamento, è riuscito a risuscitare persino le lingue morte e a creare un account Twitter  in cui però cinguetta in latino. Un profilo seguitissimo: @pontifex_ln ha oltre 899mila followers, che aumentano a vista d’occhio. Lì ha pubblicato oltre tremila mila messaggi letti soprattutto dai giovani che si divertono a cinguettare ripetendo espressioni di cui non conoscono il significato ma che, a vedere i loro commenti, un po’ li incuriosiscono. Bergoglio, secondo le analisi di linguisti ed esperti della comunicazione, ha compiuto due miracoli: riavvicinare i giovani alla lingua degli antichi romani ma anche infrangere i canoni del tradizionalismo del Vaticano.

Ecco allora che ormai non fa più notizia che anche i suoi più stretti collaboratori comunicano via social e finiscano persino per polemizzare con siti come Dagospia. Infatti, è passata sotto la lente di Aldo Grasso “il diverbio social” tra il cardinale Angelo Becciu e Dagospia. Il pomo della discordia riguardava la delicata vicenda di cinque dipendenti della Santa Sede, tra cui un monsignore e un alto dirigente laico, sospesi dal servizio «in via cautelativa e fino a nuova disposizione». Le indagini della magistratura vaticana si erano focalizzate sulle compravendite immobiliari relative a palazzi di pregio londinesi dal valore milionario. Nelle scorse settimane erano circolate voci anche di provvedimenti presi nei confronti dello stesso Becciu, che invece è poi volato in Brasile dopo avere incontrato Papa Francesco. Dagospia aveva pubblicato l’indiscrezione e subito Becciu aveva replicato su Twitter smentendo il «sito scandalistico». Il cardinale Becciu, in puro stile social, aveva pubblicato uno screenshot che fotografava la pagina «incriminata», ha scritto: «Che ridere. Proprio ieri il Papa in Udienza mi ha augurato buon viaggio per il volo che domani mi porterà in Brasile». Così Aldo Grasso, dalle colonne del “Corriere della Sera” ha commentato la novità o meglio il nuovo modo di comunicare del Vaticano: «Una consacrazione con tutti i crismi per Dagospia, ma che dire di un principe della Chiesa che twitta come fosse un seminarista in vena di arguzie?».

Ma, al di là della polemica tra il cardinale Becciu e Dagospia e al di là anche dell’analisi di Aldo Grasso, non è sicuramente una novità che pure la Chiesa abbia rivoluzionato la comunicazione classica e si sia fatta travolgere dai Social. Anzi, la rivoluzione social ha coinvolto ogni aspetto della vita religiosa. Si potrebbe spiegare così la nascita di VatiVision, la piattaforma che, sul modello Netflix, si propone di veicolare in streaming on demand, serie tv, film e documentari. E ha una sua specificità: i contenuti del servizio, al via nel primo trimestre del prossimo anno, sono a carattere religioso, artistico e culturale, pensati per un pubblico mondiale che si riconosce o ha interesse per i valori cristiani. Ma non finisce qui. Infatti, Papa Francesco ha appena lanciato una novità assoluta: il rosario digitale. Ecco Click to Pray eRosary, un elegante bracciale composto da dieci grani realizzati con ematite e agata nera, con una croce smart che memorizza i dati tecnologici dell’app connessa. Si tratta di un’applicazione facile da usare: si attiva con il segno della croce, permette di accedere ad audioguida, immagini esclusive e contenuti personalizzati in base al rosario scelto, da quello tradizionale, a quello contemplativo o tematico e a quel punto si può iniziare a recitare in qualsiasi momento o parte del mondo ci si trovi. L’app aggiornerà e memorizzerà tutti i dati. La Chiesa del Terzo Millennio ormai è Chiesa 2.0 a tutti gli effetti.

I social media fanno bene alla Salute

Intervista al professor Eugenio Santoro, responsabile del laboratorio di Informatica medica dell’Istituto “Mario Negri” di Milano.

Facebook non nuoce gravemente alla salute. Nemmeno Twitter, Instagram e tutti gli altri social network. Anzi fanno bene. Il professor Eugenio Santoro lo sostiene da tempo e lo afferma sulla base di dati scientifici. Infatti, il responsabile del laboratorio di Informatica medica del dipartimento di Salute Pubblica dell’Irccs, l’Istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri” di Milano, da anni analizza il rapporto tra i social media, la comunicazione sanitaria e la promozione della salute. E ci spiega quali sviluppi sono in atto.

In che modo Facebook, Twitter, Google+, LinkedIn, YouTube e altri strumenti social stanno trasformando la comunicazione, la formazione e l’assistenza in Sanità?

«Partendo dalla formazione, quello che è cambiato è sicuramente l’aggiornamento con le fonti che il medico usa e che, da tempo ormai, erogano i contenuti attraverso i social media: questa modalità facilita il reperimento delle informazioni. Nel campo della comunicazione, invece, opinion leader, medici affermati, in parte anche le istituzioni, ma soprattutto le associazione sanitarie hanno iniziato a utilizzare i social media affinché il cittadino possa essere cosciente delle malattie a cui potrebbe andare incontro se dovesse mantenere o avere alcuni comportamenti. Si tratta di una prassi molto utilizzata all’estero e di recente pure in Italia».

Social media e comunicazione sanitaria. Che relazione ci può essere tra le nuove piattaforme di socializzazione e la promozione della salute?

«Esistono studi realizzati soprattutto all’estero (perché in Italia siamo ancora indietro in questo ambito) che dimostrano come l’uso dei social media ha consentito di ottenere risultati migliori rispetto all’utilizzo degli strumenti tradizionali. Però bisogna specificare che tali studi non si riferivano ai social media in generale, ma all’uso più specifico inteso, ad esempio, alla creazione di community come i gruppi di Facebook. Le ricerche hanno dimostrato che se aggrego più persone e fornisco loro una serie di informazioni, ad esempio consigli su come dimagrire o mantenersi in forma, ottengo risultati positivi determinati proprio dalla possibilità di partecipare e condividere il proprio stato di salute. È dimostrato scientificamente che le community, costruite sui social, portano con più facilità il cittadino a modificare il comportamento e il proprio stile di vita. Tali studi sono stati applicati per dimostrare, ad esempio, l’efficacia della diminuzione del peso e la lotta al fumo, ma anche per la gestione di problemi legati all’ansia e alla depressione. Oggi quando si parla di social media se ne parla in termini negativi. Ma, in realtà, sfruttando le stesse leve dell’emulazione si ottengono buoni risultati. È molto più facile demonizzare i social che valorizzarne le potenzialità.

In che modo le aziende sanitarie o gli enti privati che si occupano di Salute e prevenzione possono migliorare oggi la comunicazione sanitaria 2.0?

«Bisogna fare una distinzione tra comunicazione esterna, rivolta ai cittadini, e quella interna ovvero tra i componenti delle aziende. Uno degli aspetti più interessanti riguarda la comunicazione esterna: abbiamo realizzato uno studio nel quale abbiamo analizzato quante aziende usano i social media, in che modo lo usano e che risultato ottengono. Ad esempio:  quante persone vanno a leggere i post o a condividerli. I risultati sono stati questi. Le Asl sono presenti sui social media, almeno su una piattaforma come Instagram o LinkendIn. Tra i preferiti c’era Facebook – attorno al 60% a livello nazionale, poi Twitter e Instagram. Ma, in realtà, le Asl prevalentemente usano una comunicazione celebrativa e autoreferenziale, poco diretta al cittadino che invece deve sapere – ad esempio – a quali rischi va incontro se continua ad avere un certo stile di vita. Questo genere di informazione manca. Però, anche in ambito sanitario resiste lo stesso trend di altri settori, ovvero che è Instagram il social più commentato e citato, quello che funziona di più che non è però il più usato: lo utilizza solo il 10% delle Asl ma è quello che produce risultati migliore in termini di comunicazione. La fotografia è questa. Allora, quello che le Aziende sanitarie possono fare è quello di dotarsi di competenze specializzate e di ripensare a un Piano comunicazione che integri i social media. In sintesi: servono esperti di comunicazione sanitaria 2.0».

È necessario stabilire nuove regole per gestire forme di comunicazione con strumenti sempre più innovativi?

«Per quanto riguarda la comunicazione nei confronti dei cittadini non servono nuove regole ma nuove procedure e una nuova organizzazione perché in realtà manca il contesto in cui poter utilizzare questi strumenti. Non c’è un’idea di struttura che di regole. Infatti, per una comunicazione più partecipata serve anche un piano editoriale che sia ben fatto, il cui obiettivo è quello di creare quel rapporto di fiducia con i cittadini che al momento è piuttosto basso. Le istituzioni devono adottare un piano editoriale e mettere al centro la salute del cittadino, ad esempio mettendo in rete post che aiutano a capire che cosa fare se non mi voglio ammalare o quali sono i fattori di rischio se adotto tale comportamento. Bisogna smettere di usare questi strumenti nel modo sbagliato, come creare un post per divulgare l’orario di apertura dello sportello. I post, invece, dovrebbero parlare di prevenzione e salute. I Social consentono di fare questo e di farlo a costo zero. Allora, perché non usarli con tale finalità?».