Da Starman a Starlink: SpaceX e la costellazione satellitare per le comunicazioni a banda larga.
Lo scorso 6 febbraio il Falcon Heavy si lasciava alle spalle la Terra per portare nello spazio interplanetario la Tesla Roadster di Elon Musk, accompagnata dalle note di David Bowie e da “Starman”, l’omonimo manichino sistemato all’interno dell’abitacolo. Nei giorni successivi, quando gli occhi terrestri erano ancora intenti a seguire il viaggio verso Marte della prima automobile nello spazio, Space X eseguiva il lancio, meno reclamizzato, di due satelliti sperimentali. Il lancio di Tintin A e Tintin B serviva al visionario imprenditore di Pretoria per verificare la loro capacità di comunicazione. Nel gennaio del 2015, infatti, Musk aveva presentato Starlink, un progetto che prevede lo sfruttamento dei satelliti per rendere accessibile Internet da ogni angolo della Terra. Per offrire collegamenti ad alta velocità anche ai luoghi più remoti, dove portare la fibra ottica avrebbe costi molto elevati, Space X prevede di realizzare e lanciare oltre 4000 satelliti non geostazionari (NGSO), operanti ad altitudini comprese tra i 1100 e i 1325 km così da garantire velocità fino a 1 Gb al secondo. Una vera e propria costellazione per le comunicazioni a banda larga che rivoluzionerebbe il mercato delle connessioni e che proprio nelle ultime settimane ha fatto ulteriori passi in avanti verso la sua realizzazione.
Sul finire di marzo, infatti, la Federal Communication Commission, attraverso il “Memorandum opinion, order and authorization”, ha dato il proprio benestare alla compagnia di Musk affinché realizzi il progetto Starlink. Il green light dato a SpaceX, tuttavia, non può prescindere da alcuni termini posti dall’agenzia governativa statunitense. In particolare, al punto 42 del memorandum, nella sezione dedicata alle “ordering clauses”, viene specificato che il 50% dei satelliti dovranno categoricamente essere lanciati entro il 29 Marzo del 2024 e la restante metà non oltre il 2027. Scadenze queste che non sembrano preoccupare Elon Musk, al contrario, sembrano dare credito alla sua convinzione che la produzione di piccoli satelliti (del peso di 400 kg circa) su vasta scala possa permettere di ridurre i costi, sfruttando una sorta di produzione in serie.
Indipendentemente dalla reale fattibilità dell’abbattimento dei costi, ritenuta di difficile attuazione in un campo come quello delle tecnologie satellitari, SpaceX dovrà ora ricevere il parere positivo dell’International Telecommunication Union per poter operare su scala globale. Le questioni rilevanti a questo punto sono due. La prima riguarda la concorrenza: alcuni progetti, come Telesat, OneWeb e Space Norway, hanno già ottenuto il parere positivo della commissione; altri, come OpenWeb della WorldVu Satellites, sono in attesa dell’approvazione. La seconda questione, connessa alla prima, riguarda il sovraffollamento orbitale, con il conseguente aumento del rischio di collisioni accidentali tra i satelliti stessi e quelli di altri operatori. Data l’ampiezza della costellazione del progetto Starlink, a SpaceX è stato imposto di presentare un ulteriore piano che illustri i metodi pensati per mitigare i rischi da collisione e per il deorbiting previsto a fine vita operativa.
Chi sicuramente non correrà il rischio di finire nella rete della costellazione di Musk è Starman che, ormai sparito dalla vista di gran parte dei telescopi terrestri, dovrà ora preoccuparsi di un’unica connessione: quella della frequenza radio della sua Tesla per sentire Bowie gridare ancora una volta il suo nome.