Si è da poco concluso il primo round delle primarie americane e sul fronte repubblicano fa rumore la vittoria di Ted Cruz davanti a Donald Trump, il grande sconfitto dei caucus in Iowa rilevato in testa nei sondaggi fino a poco prima del voto.
Ma la vera notizia è stata un’altra e racconta dell’inaspettato piazzamento in terza posizione di Marco Rubio. Ai sondaggi più benevoli che lo avevano accreditato al 15%, il Senatore ha risposto con un sonoro 23% oltre le più rosee aspettative e ad un solo punto di distacco da Trump. In particolare Rubio ha intercettato con successo i cosiddetti elettori last-minute, cioè quelli che maturano un’intenzione di voto solo all’ultimo momento, dentro la cabina elettorale.
Un risultato che in questa fase della campagna può rivelarsi ben più utile di una vittoria nell’immediato e che ha sortito effetti positivi sotto molti aspetti.
Primo tra tutti, riaccreditare la figura del Senatore della Florida come competitor credibile per la corsa alla nomination. La storia delle precedenti primarie parla chiaro: la vittoria o il fallimento di un candidato sono strettamente connessi al successo registrato nei primi stati dove si svolgono i caucus, dove per “successo” ci riferiamo non tanto alla vittoria in uno stato, quanto piuttosto alla capacità di andare oltre le aspettative.
In questo senso quanto accaduto sia sul fronte democratico che su quello repubblicano è lampante: le vittorie di Hillary Clinton e Ted Cruz sono state eclissate rispettivamente da una rimonta che ha del miracoloso, quella di Bernie Sanders, e dal terzo piazzamento di Marco Rubio. Indizi ancora troppo labili per parlare di uno sconvolgimento delle gerarchie di potere tra i candidati, ma che possono tradursi in speranze concrete se i due “inseguitori” sapranno sfruttare il momentum registrando un risultato convincente anche nel New Hampshire.
E in effetti, lo staff di Rubio ha parlato di “three steps strategy”: una strategia “a scalini” da percorrere gradualmente nelle prime tre sfide. Dopo il terzo posto in Iowa l’obiettivo è quello di piazzarsi almeno secondi al prossimo appuntamento per poi puntare alla vittoria in South Carolina cavalcando l’onda dell’entusiasmo e, non dimentichiamolo, dei finanziamenti.
Veniamo quindi a un altro elemento non da poco: Rubio potrà contare su un nuovo slancio non solo in termini di morale, ma soprattutto per quanto riguarda nuove e inaspettate risorse economiche legate al successo in Iowa. Così, mentre Cruz e il giovane Senatore sfrutteranno il loro exploit per risanare le casse, altri candidati saranno inevitabilmente costretti ad ammettere la sconfitta e ritirarsi, come è appena accaduto a Mike Huckabee.
Infine c’è l’altra grande vittoria di Rubio, cioè l’aver infranto (almeno momentaneamente) un clichè mediatico che nell’ultimo periodo ha impropriamente dipinto lo scenario di una corsa a due tra Ted Cruz e Donald Trump, escludendo qualsiasi possibilità di intromissione. In questo senso, il 23% targato Rubio pesa come un macigno in vista dei prossimi dibattiti.
Contro l’aborto anche in caso di stupro, a favore di un maggiore interventismo statunitense nella politica internazionale, di tagli alle tasse e meno regolamentazioni federali per il business. Insomma, quella di Rubio è una figura fortemente conservatrice, ma che si distingue dai suoi competitors per uno stile più composto, lontano dalle spinte populistiche cavalcate da Cruz e Trump e per questo più gradito all’establishment del GOP che, in caso di un’affermazione in New Hampshire, difficilmente potrà negargli un endorsement.
Ha da sempre puntato sulla sua storia personale che incarna a tutti gli effetti il sogno americano: uomo di umili origini, figlio di immigrati cubani, entra al college grazie a una borsa di studio per atleti e successivamente si laurea in giurisprudenza con il massimo dei voti. Di fede cattolica, ha una moglie di origini colombiane e quattro figli. È un self-made man, rappresentante di una minoranza etnica destinata nel tempo a diventare maggioranza: i Latinos. Ha il savoir-faire di chi si sente un predestinato.
Insomma, un profilo che ha tutti i connotati di un déjà-vu neanche troppo remoto nella storia delle elezioni americane.
Sappiamo tutti come è andata a finire nel 2008. Lo sa soprattutto Rubio che, ora più che mai, vede nel precedente di Barack Obama il percorso (arduo) da intraprendere verso la Casa Bianca.