Nella corsa alle Presidenziali americane 2016 si è dimostrato ancora una volta che in campagna elettorale tutto è lecito e tutto è possibile. La vittoria di Donald Trump ha stupito molti, sia per la sua apparente estraneità al mondo della politica, sia per i suoi toni, spesso spregiudicati e poco politically correct, così come per la contrapposizione con la sua avversaria, data già da settimane da sondaggi e opinione pubblica come vincitrice.

La realtà è che mentre Hillary Clinton era impegnata a spiegare le motivazioni dei suoi punti elettorali, elaborando un discorso approfondito e a prova di enciclopedia, il candidato repubblicano ha puntato fin da subito su uno stile comunicativo “di pancia”.

Gli scandali che hanno interessato Donald Trump sono numericamente superiori a quelli di Hilary Clinton, la diffusione di fake news da parte del primo è stata quasi un’attività giornaliera e alla fine questa forte contrapposizione tra i comportamenti dei due candidati ha favorito un voto irrazionale ed emotivo a favore del primo.

Nonostante Hilary Clinton abbia dimostrato di seguire tecniche da manuale durante la sua campagna elettorale e di disporre di una struttura comunicativa ben definita, la comunicazione di Trump si è dimostrata più efficace nel rapportarsi al suo elettorato e, a questo punto, alla maggioranza degli americani.

Lo strumento più idoneo al metodo comunicativo di Trump è stato sicuramente Twitter. Il social network da 140 caratteri è stato fin da subito uno dei mezzi preferiti dall’imprenditore americano. Sicuramente grazie a un format coerente con lo stile comunicativo del magnate, che ha trovato nei tweet l’algoritmo per esprimersi in maniera diretta, istantanea e senza mai andare oltre la superficie dei temi trattati.

Proprio per questo motivo i messaggi di @realDonaldTrump sono stati spesso fonte di contestazioni e spunti per attaccarlo.

Negli ultimi giorni di campagna abbiamo visto l’account Twitter di “The Donald” perdere progressivamente il tono aggressivo che lo aveva contraddistinto finora, focalizzandosi a ringraziare i sostenitori invece che rispondere ai contestatori. Secondo quanto riportato da un articolo del New York Times lo staff di Trump ha voluto prendere una precauzione per evitare che il candidato utilizzasse il suo profilo in maniera controproducente, ovvero non solo comunicando con toni molto coloriti, ormai noti a tutti, ma anche facilitando la diffusione di cosiddette fake news che avrebbero potuto compromettere gli ultimi giorni di campagna.

In molti avevano già chiesto a Kellyane Conway, che da qualche mese gestisce la campagna del candidato repubblicano, di cancellare l’app dal telefono di Trump o di eliminare direttamente l’account, ma finora la campaign manager aveva sempre desistito.

Per il quotidiano americano si è trattato di una tattica ideata per fronteggiare e contenere gli attacchi di Hilary Clinton nelle ultime settimane prima del voto. Clinton non è nuova ad attaccare il “tycoon” sulla base dei suoi scivoloni. Tra i più noti, ricorderanno tutti le parole poco gentili rivolte da Trump ad Alicia Machado, ex Miss Universo di origine messicama, e per le quali venne attaccato dall’allora candidata democratica, la quale ha sempre considerato la difesa della minoranza latino-americana uno dei temi principali della sua campagna elettorale.

Tenendo presente che l’account @realDonaldTrump è tra i più seguiti in assoluto – anche più di quelli di Hilary Clinton  e Barack Obama -, l’impegno ad arginare eventuali brutte figure a poche ore dalla chiusura dei seggi si è dimostrata una mossa vincente dello staff del repubblicano.

Il metodo comunicativo di Donald Trump potrà sembrare avventato, sfacciato e apparentemente senza regole ma non è stato così. La sua strategia di comunicazione è strutturata proprio in modo tale da raggiungere un determinato target utilizzando gli strumenti adatti, cosa che a conti fatti non sembra essere stata fatta da Hilary Clinton. L’ex Segretario di Stato ha utilizzato una comunicazione digital testando anche terreni a lei nuovi come Snapchat, in modo da raggiungere i cosiddetti millennials ma la spontaneità del mezzo non si adattata alle vesti di Clinton, che ha trasmesso un’immagine forzata, molto diversa da quella che è riuscito a dare Obama in questo contesto durante la sua presidenza.

Gli elettori su cui Trump sapeva di poter contare sono maschi di istruzione e redditto medio-bassi facenti parte della cosiddetta white working class, una fetta di popolazione composta gran parte da uomini, per lo più conservatori, che non si sentono rappresentati dalla politica e sono poco inclini all’integrazione degli immigrati. Lo zoccolo duro dell’America che risponde facilmente a una comunicazione “di pancia”.

Questa categoria per tradizione non è culturalmente avvezza ad un uso consapevole del web e molto spesso condivide la propria opinione politica nel dibattito pubblico che si svolge online, specialmente sui social media, senza linee guida a uso del mezzo e senza conoscere la cosiddetta netiquette. Di conseguenza l’interesse nei confronti di errori grammaticali, concettuali o della veridicità delle informazioni non è particolarmente elevato. Al contrario, un linguaggio semplice e diretto come quello di Donald Trump si è dimostrato capace di arrivare più facilmente alla maggioranza del popolo americano e di scavalcare l’importanza dei fatti.

Uno stile che, volendo cercare un parallelismo col nostro Paese, sotto molti punti di vista ricorda quello adottato dal Segretario della Lega Matteo Salvini.

In particolare, lo stile comunicativo del leader del Carroccio si basa sull’attacco costante all’avversario politico. Il suo discorso si snoda appositamente attraverso affermazioni che suscitano emozioni e agiscono sull’impulso dell’elettore. Uno stile populista al quale in Italia siamo storicamente abituati ad assistere ma che in America non si era ancora radicato al punto di portare un candidato come Donald Trump alla Casa Bianca.

Contestualizzando invece gli scivoloni di Trump al resto del nostro apparato politico, un case study emblematico è quello dell’onorevole Maurizio Gasparri. Il profilo Twitter del Senatore è da qualche anno molto attivo e presente all’interno del dibattito online ed è caratterizzato da una gestione enfatica, fatta di scontri e botte e risposte che non risparmiano nessun utente. Uno stile nettamente in contrasto con la sua carica di vicepresidente del Senato.

Tra le gaffe più note, molti ricorderanno l’errore ortografico “chiesimo” scritto in un tweet del Senatore, e che lo costrinse a rispondere con delle scuse ufficiali in merito. Una gaffe diventata ben presto virale e per la quale Gasparri viene ancora bersagliato in Rete.

Situazione simile si è dimostrata quella del caso #Ciaone che ha coinvolto Ernesto Carbone: il deputato Pd in occasione del Referendum sulle trivellazioni aveva commentato a urne aperte gli esiti della votazione che era ormai indirizzata verso la vittoria del fronte del No, del quale era sostenitore. Il messaggio di Carbone era quello di felicitarsi ironicamente per l’allontanamento del quorum sul referendum. Specialmente l’uso del termine in questione ha scatenato feroci polemiche anche all’interno del Pd ed ha suscitato in pochi minuti le reazioni di molti utenti che chiedevano rispetto per la libertà di parola e di voto.

I ritmi serrati dell’attività politica non sono riusciti a giustificare il deputato, che per un’ esclamazione forse scritta velocemente si è ritrovato nell’occhio del ciclone mediatico.

Una brutta figura che si è rivelata dannosa non solo alla sua immagine ma anche a quella del suo partito.