Negli Stati Uniti l’appuntamento con le elezioni presidenziali del 2016 si avvicina e Partito Democratico e Repubblicano sono entrambi alle prese con le primarie per eleggere coloro che si contenderanno la carica di 45° Presidente della democrazia americana. Tuttavia, il contesto nel quale i due partiti si sono calati è ben diverso: se con i repubblicani c’è il problema di far stare tutti i candidati alla nomination sullo stage dei dibattiti televisivi, nella sponda democratica c’è il problema opposto, il palcoscenico rischia di sembrare vuoto.Tre contendenti per una nomination: Hillary Clinton, Bernie Sanders e Martin O’Malley. Lo scenario si prospetta decisamente più semplice rispetto a quanto sta succedendo nel partito dell’elefantino, sia dal punto di vista numerico delle candidature, sia per quanto riguarda la prevedibilità dell’esito finale: Hillary Clinton è saldamente in testa nei sondaggi e, se non ci saranno incidenti di percorso, sarà lei ad aggiudicarsi la nomination democratica. Gli altri due candidati, il Senatore del Vermont Bernie Sanders e l’ex Governatore del Maryland Martin O’Malley, sembrano non avere possibilità di contrastare la volata di colei che, da first lady del 42° Presidente degli Stati Uniti, ha già avuto modo di insediarsi alla Casa Bianca.

HILLARY CLINTON

Hillary Clinton è senza dubbio la favorita per le primarie del Partito Democratico, tant’è che il lancio della sua candidatura ha scoraggiato un ampio numero di potenziali candidati dal prendere parte alla competizione. Una campagna, la sua, che è a tutti gli effetti già impostata in prospettiva delle prossime presidenziali, un enorme vantaggio rispetto ai repubblicani che saranno costretti ad affrontare delle primarie stressanti e dispendiose dal punto di vista delle risorse non solo economiche, ma anche mentali e fisiche dei tanti competitors.

Contro colui che sarà il candidato repubblicano, il primo obiettivo di Hillary Clinton sarà quello di far convergere sulla sua figura quell’elettorato che fu l’asso nella manica di Barack Obama specialmente nella sua riconferma del 2012: la comunità dei neri e gli elettori più giovani. Ma avrà anche bisogno di conservare la sua base di consenso tra le donne bianche della working-class che vedono nella candidata democratica una figura molto attenta alla tutela dell’universo femminile, specialmente in materia di diritti sul lavoro e pari opportunità. Inoltre, può vantare un forte appeal nei confronti della comunità ispanica, che già nel 2008 la supportò in maniera schiacciante nelle primarie contro Barack Obama. Un bacino elettorale, quello ispanico, che sarà cruciale soprattutto nel determinare la vittoria in Stati decisivi come Florida e Colorado. Tornando alle affollate primarie repubblicane, c’è poi da sottolineare come queste rischieranno di spostare il profilo di tutti i candidati dell’elefantino molto a destra, concedendo a Hillary Clinton la possibilità di intercettare con più facilità quegli elettori moderati e indipendenti quasi sempre decisivi nel computo finale.

Il messaggio di Hillary Clinton si focalizza nella volontà di lasciare un Paese migliore alle future generazioni, cioè ai figli e ai nipoti degli elettori odierni. Un messaggio di cui la candidata democratica, in veste di madre e nonna, è espressione naturale e coerente.

Se a tutto ciò si aggiunge anche l’enorme vantaggio finanziario sul quale può contare in virtù di un sostegno sostanzialmente universale nell’establishment del partito e grazie alle cospicue donazioni “Super PAC” (Super political action committees), si capisce perché alle primarie si siano presentati soltanto altri due candidati, per giunta con scarse possibilità di battere una vera e propria macchina da voti.

MARTIN O’MALLEY

L’ex governatore del Maryland sta cercando di intercettare tutti quei progressisti delusi dalla candidatura di Hillary Clinton. Gode di ampio consenso nella working-class bianca, aspetto che lo rende molto forte in Iowa. Inoltre, da ex sindaco di Baltimora, metropoli dove il 63% della popolazione è di origine afro-americana, ha buone possibilità di intercettare il voto di una comunità che Hillary Clinton al momento stenta a convincere a pieno.

Il messaggio di O’Malley scommette tutto sulla necessità di dotare il partito di una classe dirigente di nuova generazione. Per questo, nonostante i suoi 52 anni, cerca di apparire come un candidato di rottura e distante dall’immagine stereotipata del politico dell’establishment: lo si vede spesso suonare la chitarra nei pub e farsi selfies nei campus dei college dove compare quasi sempre smanicato o addirittura a torso nudo. Un’immagine fresca e dirompente che lo colloca agli antipodi rispetto all’altro avversario di Hillary Clinton, il Senatore del Vermont Bernie Sanders, al quale O’Malley sta tentando di contendere la corrente più liberale dei democratici. Allo stesso tempo non perde occasione di rimarcare le sue esperienze da Sindaco e Governatore, entrambe durate per due mandati, a testimonianza della sua affidabilità nel ricoprire la carica di Presidente degli Stati Uniti.

Nonostante stia correndo molto a sinistra, la sua storia lo inchioda come colui che a lungo ha sostenuto i Clinton e come un politico di posizioni centriste, caratteristiche che potrebbero essere tirate in ballo dai suoi competitors nel corso della campagna elettorale per evidenziare le sue incoerenze.

BERNIE SANDERS

Il suo supporto viene principalmente dall’ala più liberale del Partito Democratico. Una corrente che gli viene contesa solo da Martin O’Malley. Ma per avere delle possibilità, sarà necessario che il Senatore espanda il suo bacino verso elettori come gli Afro-americani.

Ama definirsi un “Socialista Democratico”. Il suo messaggio enfatizza sulla necessità di contrastare la diffusione di disparità sociali e il potere dell’oligarchia finanziaria, fenomeni che secondo il candidato hanno determinato il declino degli Stati Uniti durante gli ultimi quarant’anni. Per quanto riguarda la politica estera, Sanders si è sempre opposto a un eccessivo interventismo statunitense, reo di aver funestato il mondo con sciagurate operazioni belliche. Se dovesse diventare Presidente, promette di dare seguito alle politiche di distensione con Cuba messe in campo da Barack Obama.

Come per O’Malley, le sue possibilità di vittoria sono molto risicate. Inoltre, le sue posizioni non sembrano essere in grado di garantirgli il consenso elettorale necessario per minacciare la posizione predominante di Hillary Clinton.